
Il post di questa settimana è un po’ atipico: una riflessione sul lavoro dell’interprete che parte dal mito che “gli interpreti ripetono le parole degli altri”.
L’antefatto
Avevo appena finito il liceo e con mi stavo confrontando gli amici circa il nostro futuro universitario e le carriere che immaginavamo di intraprendere.
Al mio entusiasta “io voglio fare l’interprete!”, uno mi rispose “ma cosa ti attira di questo lavoro? Praticamente è come fare il pappagallo. Gli interpreti ripetono le parole degli altri. Non è meglio fare un lavoro in cui sei tu a decidere cosa dire?”
Mi ricordo di esserci rimasta molto male, anche perché tenevo all’opinione di quella persona.
Mi sono quindi domandata se fosse la scelta giusta per me: come ogni tardo-adolescente mi sentivo piena di idee da comunicare, valori in cui credere e personalità da esprimere.
Per fortuna, sono dotata di una discreta testardaggine e di una fede cieca nei miei sogni; ho proseguito per la mia strada, con questa idea di andare a “fare il pappagallo” che di tanto in tanto faceva capolino come un fastidioso tarlo.
Come funziona davvero il processo di interpretazione
Ben presto mi sono resa conto di una cosa: non è affatto vero che gli interpreti ripetono le parole degli altri in un’altra lingua. O meglio, non ci limitiamo a fare questo.
Per tradurre, devi innanzitutto capire cosa l’altro vuole dire, ascoltarlo con estrema attenzione e metterti davvero nei suoi panni, anche se può risultare difficile.
Non si tratta di un’operazione superficiale; devi immedesimarti, trasmettere idee ed emozioni, ricordare sempre che in ballo potrebbe esserci qualcosa di molto importante per chi parla e scegliere le parole da tradurre sapendo che puoi fare la differenza.
Immedesimarsi in un’altra persona ti porta per un momento a vedere il mondo con i suoi occhi, a prendere in considerazione un’altra prospettiva, apprezzando ciò che ti circonda come non avevi fatto prima.
Per il tempo in cui interpreti, sei il tramite della comunicazione, sei l’interprete che non si deve notare, ma sei anche l’altro: le sue idee, le sue passioni, i suoi dolori.
Il tuo obiettivo è far capire cosa vuole dire e dirlo con la stessa intensità, e per farlo non hai altra scelta che entrare sotto la pelle di uno sconosciuto che per qualche istante sei anche tu.
Un esercizio senz’altro difficile, ma anche appagante e per certi versi illuminante.
E poi da interprete sei tu a decidere cosa dire: scegli le parole che possono risultare più efficaci allo scopo, le sistemi al meglio e contribuisci in modo significativo alla riuscita della comunicazione.
Proprio perché non mi limito a ripetere le parole degli altri, non trovo questo il mestiere dell’interprete monotono o asettico e so che oltre a rigore e tecnica, serve anche una buona dose di creatività e fantasia.
Se questo mestiere ti affascina, entriamo in contatto su LinkedIn, dove cerco di raccontarti il dietro le quinte della mia professione.